Stop al test di verginità in Indonesia

C’è un confine, pesante, che separa la morale dalla dignità umana.

C’è un confine rumoroso che scandisce il silenzio dell’inciviltà.

C’è un confine, oscuro, barbaro, che, ancora oggi, mortifica e umilia la donna.

Donna in quanto donna.

E’ di agosto la notizia – passata decisamente sottobanco, rispetto ai lussuosi party in yacht dei Ferragnez e della seconda gravidanza di Belen Rodriguez – che ci è giunta sotto il sole di Ferragosto direttamente dall’Indonesia: dopo decenni è stata messa la parola “fine” al test di verginità per il reclutamento delle donne nell’esercito. Probabilmente la maggior parte di noi non era a conoscenza neanche dell’esistenza di questa pratica che per anni ha messo alla berlina la decenza e il rispetto – se di rispetto possiamo ancora parlare – delle donne indonesiane. E’ stato lo stesso Capo di Stato maggiore dell’esercito della nazione, Andika Perkasa, ad annunciarlo. Da oggi più nessun test, le donne verranno selezionate attraverso gli stessi esami medici a cui vengono sottoposti gli uomini ed in base al loro successo nella formazione militare. Un passo in avanti che sembra preistoria, e invece non lo è. Perchè i test di verginità ancora oggi vengono eseguiti in varie parti del mondo, prima del matrimonio o anche per ottenere un posto di lavoro. Nel caso specifico indonesiano, la pratica del test prevedeva che le donne risultate non vergini venissero di diritto scartate dalla selezione. A detta dell’esercito il test aveva un solo obiettivo: determinare la moralità delle nuove reclute.

Un test fisico – ironicamente più banale di una visita ginecologica – che ha il potere di decidere il futuro di una donna, segnando avidamente quel confine, barbaro e oscuro, che la separa dalla libertà. Un culto, quello della verginità, che è controsenso e paradosso, perchè nello Stato del Sud-est asiatico, non sono state colpite solo soldatesse e poliziotte ma anche studentesse di scuole medie e licei: nel 2010, infatti, il Consiglio regionale di Jambi (città sull’isola di Sumatra) fece da apripista, esortando ad eseguire un test di verginità su questa categoria di giovani donne. Nonostante tutto, non si è mai fermata la mobilitazione delle organizzazioni dei diritti umani,  dagli Human Rights Watch alla Commissione Nazionale sulla violenza contro le donne, che in tutti questi anni si sono battute per salvare la realtà indonesiana, chiedendo l’abolizione dell’obbligo del test di verginità, giudicandolo “privo di validità scientifica” – denominazione sottoscritta anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2014.

Degradante, discriminatoria, indecorosa su tutti i punti di vista, priva di quella moralità di cui tanto i vertici indonesiani si sono sciacquati la bocca nel corso degli anni. Una realtà che – fortunatamente – appare lontanissima dalla cultura del nostro Bel Paese, anche se guardando indietro – ma anche avanti – una parte di colpa di tutto ciò, forse, ce l’abbiamo anche noi, e che ha un nome ben preciso e a suo modo rumoroso: Indifferenza.

Noi che, spesso, preferiamo non vedere, non sentire, cosa succede dall’altra parte del continente. Noi che con la morale ricamiamo valanghe di ipocrisia e viziosità. Noi che, troppo spesso, non siamo in grado di prendere le parti della parte più debole della società. Perchè, come scriveva qualcuno, “l’indifferenza è la risata di chi non vive il tuo stesso destino”.

Ciao a tutte, sono Chiara Elci, giornalista e scrittrice. Ma divido tra programmi in TV e il mio computer, dove sviscero i miei pensieri, sulla società e sul quotidiano.
Ho pubblicato il mio primo libro nel 2015: Il Papavero e la neve.